Perché

Ho deciso di scrivere il resoconto di questa giornata, perchè è la prima volta che assaporo lo spirito agonistico del ciclismo. In vita mia non ho mai fatto una gara o una gran fondo e quando mi confronto con qualcuno sulle salite di casa, di solito mollo subito perchè Antonio, Attilio o chi trovo lungo la strada è sempre un gradino sopra di me, che non riesco ad allenarmi in maniera minimamente decente.

Ma questa volta è diverso, nei tre mesi precedenti ho già fatto parecchi chilometri ed ho fatto due uscite lunghe (217 e 190 km). Sto molto bene; sulla Maddalena ho abbassato il mio record di più di un minuto e sono sceso sotto quello precedente in maniera sistematica nelle 3 ascese successive.
A posteriori, posso dire che mi sono divertito un mondo in posti fantastici in cui torno sempre molto volentieri sia in bicicletta, sia sugli sci. Al di là del risultato agonistico, è stato bello fare cose che normalmente vedi fare solo in TV.

La partenza da Brescia

Sabato 23 luglio, giro del Sellaronda in senso antiorario. Partecipanti alla gita-competizione, oltre al sottoscritto, Antonio, Attilio (suo fratello), Michele e Paolo (due semi-professionisti), Roberto e Luigi (da pronostici io dovrei essere paragonabile a loro due).
Come al solito, prima di questi eventi, ho studiato il percorso, pendenze, cartine, altimetrie, statistiche etc. Appena ci incontriamo Attilio mi sorprende, e batte in fantasia: ha preparato per tutti dei prospetti delle salite con grafici a barre che indicano le pendenze ogni mezzo chilometro. Li ha plastificati!! E ha fatto due buchi per poterli attaccare al manubrio della bicicletta.
Per oggi il meteo prevede sulle Dolomiti tempo parzialmente nuvolo con alta probabilità di temporali da metà pomeriggio. Speriamo di non lavarci!

Verso mezzogiorno parcheggiamo le macchine a Campitello, appena prima di Canazei, ci prepariamo e si parte dopo una breve sosta ad un bar.

La salita al Passo Pordoi

Dopo una sosta forzata a Canazei perché Luigi ha bucato nel 2° Km del giro, finalmente si parte per affrontare la prima salita della giornata il passo Pordoi. E’ una salita che non mi fa paura ho visto l’altimetria ed il profilo delle pendenze. Confrontandola con la cara vecchia Maddalena è un po’ più lunga, ma le pendenze sembrano essere molto più abbordabili. E’ una salita che non ho mai affrontato in bicicletta, solo un paio di volte in macchina parecchi anni fa. L’ho vista molte volte nelle telecronache del Giro d’Italia e non mi sembra difficile, ma si chiama sempre Pordoi ed il timore reverenziale è d’obbligo, considerando le cavalcate epiche di cui è stata teatro da Coppi a Pantani, da Saronni a Simoni e tanti altri..

Io sono abbastanza baldanzoso provengo dalle ottime prestazione sulle salite di casa, che mi permettono di essere abbastanza sicuro delle mie possibilità. Ovviamente non voglio sbilanciarmi, una giornata storta può sempre capitare e sopratutto non ho intenzione di scoprire le mie carte anzitempo. Dovrebbe essere una passeggiata, ma conoscendo alcuni degli elementi che partecipano so benissimo che il confronto agonistico non potrà mancare. Io di solito rifuggo queste sfide perché mi sento sempre di avere una marcia in meno rispetto ad Attilio, Antonio e company, ma oggi...

Attilio proclama “velocità sterilizzata per i primi chilometri”; giustifica la proposta affermando che è soprattutto un’uscita insieme e quindi per rispetto di quelli che probabilmente faranno più fatica (l’altro Roberto, Luigi ed il sottoscritto) salire piano nei primi chilometri. In realtà secondo me è un malcelato tentativo di nascondere uno stato di forma non al top come al solito. Appena usciti da Canazei Antonio e Paolo impongono un’andatura intorno ai 12-13 km/h (tranquilla viste le pendenze blande), ma subito gli altri si staccano, io mi accodo invece ai primi due.

Da dietro le proteste giungono a più riprese, allora rallentiamo, quasi ci fermiamo, ci facciamo foto a vicenda. Al quinto chilometro il gruppetto è compatto, ma per poco: è questione di qualche centinaio di metri Paolo e Antonio allungano nuovamente ed io dietro. Dentro di me scalpito, vorrei partire, attaccare, e poi quanto sono “i primi chilometri”? è finito il tratto di non belligeranza? ho anche mille dubbi: forse è troppo presto: la salita è ancora lunga. Non conosco Paolo, e poi Attilio mi fa sempre paura, mi ricordo benissimo il ritmo infernale con cui l’ho visto affrontare la Maddalena.

Siamo al sesto chilometro, neanche metà salita, in testa ancora Paolo, Antonio e il sottoscritto, a duecento metri gli altri; abbandono ogni indugio, do una secca accelerazione di potenza senza alzarmi sui pedali per non fare notare dietro il cambio di ritmo. Spero in questo modo di sorprendere Attilio e guadagnare più metri possibili per aver qualche change in più. Paolo mi segue senza problemi, Antonio invece molla subito, ma avevo già capito che per lui oggi è una giornata no (almeno per adesso).

La strada in questo punto è rettilinea da dietro ci vedono, ma stanno pedalando a testa bassa e non si sono ancora accorti di nulla. Mantengo il forcing e dopo alcune centinaia di metri perde la ruota anche Paolo. Sono galvanizzato, sto bene, adesso penso a come gestire il resto della salita. Almeno questa voglio tentare di vincerla. Però ho due timori prima di tutto andare su troppo forte e scoppiare, secondo subire una probabile poderosa risposta di Attilio.

Guardo avanti cerco il primo punto in cui la strada piega in modo da nascondermi agli avversari. Finalmente vedo una semicurva a sinistra. Appena la raggiungo con la coda dell’occhio sbircio se Paolo mi può vedere o no, non mi vede!! Mi alzo sui pedali e questa volta scatto in fuori sella, la velocità sale a 25 km/h anche perché la pendenza in questo punto è dolce (forse il 5%). Guadagno parecchio, adesso Paolo mi vede, ma a questo punto non mi interessa sento che le gambe vanno bene e le pulsazioni non sono fuori soglia, sono lanciato decido di stare ancora in fuori sella. Paolo forse reagirà, ma a questo punto non mi interessa. Sono convinto che se non scoppio non mi prende più. Temo invece ancora Attilio che non riesco vedere.

Ora ci sono un po’ di tornanti ancora in mezzo al bosco, mi risiedo e continuo la salita con un ottimo ritmo, quando Paolo non mi vede ne approfitto per alzarmi e rilanciare la bici per qualche decina di metri.

Un rettilineo lungo, mi volto e vedo Paolo ormai a più di trecento metri e subito dietro a lui Attilio, a qualche decina di metri, tenta la rimonta.

In un paio di minuti Attilio raggiunge e sorpassa Paolo. Mancano ancora 4 chilometri alla vetta. Temo che di questo passo nell’arco di un paio di chilometri riprenderà anche me.

Ma sono deciso a dargli del filo da torcere; fino ad ora non mi sono ancora spremuto, decido di forzare: posso permettermi anche di andare in fuori soglia, accelero il respiro si fa affannoso e le tempie pulsano, ma sto bene.

Dopo un chilometro Attilio ha guadagnato ancora, ma non tantissimo. Il panorama ora si apre il bosco lascia spazio ai pascoli. Guardando in su si vede il passo con i suoi rifugi, a sinistra il massiccio del Sella-Ronda a destra le creste dietro le quali c’è il mitico passo Fedaia e la Marmolada. La strada ora sale tutta all’aperto. E’ un biscione che in due chilometri disegna ancora 14 tornanti. E’ uno spettacolo, ma io sono concentrato, il sudore cola a goccioloni dal mento. Raggiungo un signore di circa 75 anni, capisco subito che è uno che quella salita se la fa almeno 4 volte a settimana. Mi dice “bravo con questo ritmo vai su in meno di 50”. Io non lo so, non ho guardato il tempo alla partenza e poi c’era quella maledetta “andatura sterilizzata”!!

Mi si accoda, viene su con il mio passo, poi mollo appena appena, si mette a tirare un po’ lui, prendo fiato e mi affianco, andiamo su affiancati. Ottimo alleato.

Ora posso guardare giù: vedo Attilio tre tornanti sotto. Calcolo che dovrebbero essere ancora a circa a 200 metri. Penso che forse mi becca a poche centinaia di metri dal passo, ma in tal caso probabilmente posso giocarmela ancora allo sprint perché le gambe ci sono.

Ancora due, tre, quattro tornanti, controllo, la distanza mi sembra invariata, forse anche lui ha dato tutto, forse ce la faccio. Ora vedo anche Paolo, Michele e Antonio sgranati lungo i tornanti che ho già percorso.

Non mi volto più, non so esattamente quanto manca, meno di un chilometro. Ultimo tornante, la strada spiana, scatto, non vorrei essere beffato negli ultimi metri anche se razionalmente mi dico che è impossibile. Scollino, adesso mi accorgo che sono esausto, ma la soddisfazione è troppa: ho battuto Attilio sul Pordoi, la mia giornata potrebbe anche finire qui.

Faccio inversione e vedo arrivare gli altri: 2° Attilio, 3° Paolo, 4° Michele, 5° Antonio, 6° Luigi e 7° Roberto paonazzo con gli occhi quasi fuori dalle orbite.

Al passo ci concediamo una sosta di una ventina di minuti. Antonio non sta bene gli fa male lo stomaco, gli altri mangiano. Io mi copro ho freddo, ma non scendo dalla bici.

La discesa verso Arabba

La discesa verso Arabba sembra interminabile è una strada tutta all’aperto non ci sono alberi; molto stretta in cui si prende molta velocità perché ci sono lunghi rettilinei e leggere semicurve che non limitano la visibilità, ma l’asfalto è parecchio rovinato quindi la prudenza è d’obbligo.

Io ho freddo, ma pedalo poco per recuperare energie anche perché ora la fatica fatta si fa sentire e non vorrei che qualche crampo mi rovinasse il resto del giro.

La salita al Passo Campolongo

Ad Arabba ci fermiamo ancora, soprattutto per scaldarci, e, nel nome del “andatura sterilizzata nei primi chilometri”, aspettiamo che tutti siano presenti all’appello.

Questa volta l’andatura sterilizzata dura duecento metri!!

Appena usciti dal paese la strada si impenna, è una salita corta (5 km), ma le pendenze sono molto meno amichevoli del Pordoi. Io sono appagato dal successo, ma sono comunque determinato a difendermi e non sfigurare anche se sento che ho ancora bisogno di tempo per recuperare la fatica della salita precedente. Attilio e Michele invece sono intenti a prendersi una rivincita. Fanno subito forcing, ma io, Paolo e Antonio teniamo duro.

Dopo il primo tornante ci si presenta un lungo rettilineo e la pendenza non accenna a mollare, ci sono una serie di scatti di Michele e Attilio, Antonio si stacca. In piena bagarre mi suona il cellulare sono obbligato a fermarmi. Era Lella con problemi tecnici, mi tiene al telefono 2 minuti, ho perso qualunque possibilità di battermi per le prime posizioni. Decido di andare su del mio passo, la salita per fortuna finisce presto. Allo scollinamento non c’è nessuno, ma non ne sono sorpreso perché eravamo d’accordo che ci saremmo aspettati a Corvara per evitare di prendere altro freddo.

La discesa verso Corvara

Inizio la discesa in solitario: Luigi e Roberto sono attardati. Anche la discesa verso Corvara è aperta non ci sono alberi ed in fondo si vede benissimo il paese, è molto più bella della discesa precedente: l’asfalto è nuovo, la strada è abbastanza larga e disegna una serie di tornanti a raggio molto ampio che invogliano a lasciar correre la bicicletta. La velocità non è comunque eccessiva perché la distanza tra un tornante e l’altro non supera mai qualche centinaia di metri; la strada è circondata da prati quindi non ci sono grandi pericoli.

Mi godo il paesaggio, ma ad un tornante un attimo di disattenzione quasi mi costa caro, entro in curva con una velocità di qualche frazione di km/orario eccessiva, mi accorgo che faccio fatica a tenere il giusto raggio, la ruota anteriore sfiora pericolosamente il ciglio della carreggiata che, essendo l’asfalto nuovo, è leggermente più alto rispetto al cordolo in cemento. Sono spaventato, mi rendo conto che se la ruota scivola giù mi faccio male e rompo la bici. Ma riesco a mantenere la lucidità, non cedo alla tentazione di usare il freno dietro, tocco appena appena quello davanti e piego un può di più sperando che il pneumatico tenga, lo sento perdere aderenza, mollo subito tutto, ma la curva è fatta. La scarica di adrenalina mi ha fatto tornare alta la concentrazione, concludo la discesa entrando in paese e cerco con lo sguardo gli altri. Ma so che li troverò vicino al bivio per passo Gardena. Ed infatti sono fermi vicino al crocicchio e vedo che è in corso una discussione su chi abbia vinto il gran premio della montagna di passo Campolongo. Il dubbio è se il traguardo fosse dove c’è il cartello indicante il passo (1° Michele, 2° Attilio) o dove c’è effettivamente lo scollinamento (ordine invertito). Io do il mio parere: per me è la seconda ipotesi perché per esperienza il cartello è sempre alcune centinaia di metri prima del passo reale.

Quindi la classifica di passo Campolongo è 1° Attilio, 2 ° Michele, 3° Antonio, 4° Paolo, 5° io, 6° Luigi e 7° Roberto.

La salita al Passo Gardena

A Corvara c’è il sole ed anche una bella temperatura, ci fermiamo qualche minuto a chiacchierare e a rifocillarci con barrette ed integratori. Io ho le borracce vuote e propongo una sosta alla prima fontanella. Si parte, questa volta tutti insieme con un’andatura molto blanda. La strada che esce dal paese verso il passo Gardena è pianeggiante. Ci guardiamo intorno alla ricerca della fontanella, non se ne vedono.

Sulla sinistra c’è un centro sportivo, penso che sia il luogo ideale dove cercarne una. Svolto, ma mi segue solo Luigi. In mezzo ad un prato addocchio una fontana vera e propria con tanto di abbeveratoio in legno come se ne vedono spesso (quando non servono) in questa zona.

Bisognerebbe attraversare il prato con il rischio di bucare o scendere dalla bici e quindi perdere 4-5 minuti. Mi volto verso la Statale per vedere cosa fanno gli altri: non si sono fermati, anche se procedono ancora lentamente. Realizzo che riempire le borracce vuol dire perdere almeno mezzo chilometro. Rientrare poi sarà duro e poi vorrà dire soffrire tutta la salita. Preferisco fare inversione e rinunciare all’acqua, sperando di non pentirmene più tardi. Luigi invece decide di fare rifornimento.

In un paio di minuti rientro sul gruppo senza affanno. Nel frattempo Antonio, sfruttando le sue doti di passista, ha alzato il ritmo ed ha guadagnato 200 metri tentando un’azione in solitario. Adesso la strada ha iniziato a salire, la pendenza non è eccessiva, ma comunque si fa sentire. Ho incrociato un attimo lo sguardo di Paolo e mi ha capito al volo: voglio andare a prendere il fuggitivo e so che lui mi darà la sua collaborazione anche se non ha proferito parola.

Ci alziamo entrambi sui pedali ed in fuori sella diamo una menata che nell’arco di un paio di minuti ci permette di chiudere il buco. Tutti gli altri sono stati incapaci di rispondere alla nostra iniziativa, così davanti mi ritrovo nuovamente con Paolo e Antonio. La mia intenzione (e mi sembra anche quella di Paolo) è quella di salire abbastanza tranquillamente, almeno nella prima parte per dare battaglia eventualmente negli ultimi chilometri. Questa salita è molto lunga (18 Km) e le pendenze sono meno amichevoli che sul Pordoi, considerando poi che pedaliamo ormai da più di 2 ore e mezza ed abbiamo già affrontato due salite. E’ opportuno tirare il fiato per quanto una salita così ce lo permetta. L’andatura non è comunque blanda, si va su a 11-12 km/h.

Ma Antonio è più combattivo che sulle due precedenti salite e, come  è suo stile, senza alzarsi sui pedali aumenta il ritmo di pedalata di potenza. Guadagna subito 15-20 metri. Io non rispondo, ci pensa Paolo a richiudere il buco ed io gli sto a ruota. Non riusciamo a fare che qualche centinaio di metri che Antonio riparte. Dentro di me impreco perché questi cambi di ritmo mi danno fastidio non tanto fisicamente quanto psicologicamente, ma ancora una volta ci pensa Paolo a riportarmi su Antonio.

Ma Antonio riparte per la terza volta e come le precedenti guadagna qualche decina di metri, questa volta sono proprio indispettito decido che è ora di fare qualcosa perché se gli permettiamo questa tattica io crollo come mi succede quando salgo in Maddalena con lui.

Paolo ricuce per l’ennesima volta, io sono in terza ruota, nel momento in cui riprendiamo Antonio butto giù due denti della catena, mi alzo sui pedali e parto in contropiede con uno scatto che sorprende sia Paolo che Antonio. In realtà io stesso rimango sorpreso perché la mia bicicletta raggiunge una velocità incredibile. Guardo il contachilometri indica 22 km/h su una pendenza intorno al 8%, fantastico!! Sono euforico riesco a mantenere quell’andatura per 200 metri ed il mio scatto diventa uno di quelli che fa male; nel frattempo anche Paolo ha reagito alzandosi sui pedali. Spero che mi raggiunga per salire insieme, ma sono deciso a mantenere il mio ritmo. Antonio ormai è lontano e Paolo dopo alcuni minuti mi riaggancia. E’ già successo di tutto e siamo solo al quinto chilometro di salita. Da qui in poi in realtà affrontiamo la salita con ritmo regolare. Mi stupisco ancora perché la velocità non scende mai sotto i 13-14 km/h anche nei pezzi più impegnativi.

Per lunghi tratti lascio che sia Paolo a fare il ritmo, io cerco di stargli a fianco per non dagli l’impressione che non ne ho più, ma raramente mi sento di andare davanti. La verità è che sono quasi al gancio, ma sto comunque bene e non voglio farglielo capire. Lui invece mi dà l’impressione di stare molto bene. Addirittura, mi indica dei particolari del paesaggio circostante, mi sforzo di rispondergli evitando i monosillabi per non tradirmi. In realtà non vedo più niente sento solo il mio respiro ed i battiti del mio cuore, mi continuano a confortare perché mi dicono che, se il ritmo non aumenta, così va benissimo. Questo è il mio obbiettivo, non invogliarlo o fargli capire che può scattare. Ma sono abbastanza confidente che non lo farà perché pensa alla menata che ho fatto qualche chilometro prima ed ha paura a provocarmi.

Antonio ormai è lontanissimo quando la strada si apre, negli ultimi 3 km, intravediamo la sua sagoma con la maglia della CSC, 7-8 tornanti più in basso. Tutti gli altri ormai sono dispersi.

Manca pochissimo al passo, penso che cosa fare. Voglio arrivare insieme a lui, meriterebbe di vincere e se farà lo sprint probabilmente lo vincerà facilmente.

Un rettilineo ci separa dal rifugio forse trecento metri, vedo che non ha intenzione di sprintare, anzi rallenta. Allora scalo un dente, e senza neanche alzarmi sui pedali scollino con qualche metro di vantaggio. Bravi a tutti e due!!

Se la salita al Pordoi è stata esaltante per come ho gestito la tattica ragionando prima di fare ogni mossa; questa salita, grazie anche alla provocazione di Antonio, mi ha visto compiere un capolavoro atletico che non mi ricordo di aver mai fatto in nessuno sport che pratico: lo scatto del 5° chilometro!!

Dopo 6:46 arriva Antonio avvilito e sfranto, Attilio 4° a più di 9 minuti.

Quindi Michele imbufalito perché non lo abbiamo aspettato quando si è fermato a far la pipi. Segue Luigi; Roberto arriva con quasi 26 minuti di ritardo quando stavamo quasi per tornare giù a cercarlo.

Entriamo al rifugio e qui mangiamo e beviamo di tutto (io mi concedo solo un thè per scaldarmi).

La sosta è molto lunga chiacchieriamo e discutiamo al caldo. Roberto non sta bene, è esausto. Si sdraia su una delle panche, passano i minuti, ma la situazione non migliora di molto. Quando la testa smette di girargli e riesce a mangiare qualcosa si riprende, ma saggiamente decide di abbandonare. Gli consigliamo di stare al rifugio fin che non si sente di risalire sulla bici e quindi scendere a Selva di Valgardena, lì ci aspetterà. Noi nel frattempo affronteremo l’ultima asperità della giornata, il passo Sella, ed andremo a recuperare le macchine. Andremo quindi a recuperarlo a Selva rifacendo il passo Sella al contrario con le macchine.

La discesa verso Selva di Valgardena

Dopo quasi un’ora di sosta si riparte. Fuori il cielo si è fatto plumbeo e, come da previsioni, minaccia pioggia. Grossi nuvoloni nascondono le punte del Sassolungo: la vetta che sovrasta Selva e che si trova alla destra del passo Sella. Fa freddo, io parto al rallentatore, ma c’è subito bagarre. I delusi di giornata, Michele e Attilio hanno intenzione di rifarsi almeno sull’ultima salita. Anche se sono ampiamente appagato da quello che ho già fatto, non ci sto a rendergli la vita facile e anche gli altri cercano di stare uniti.

Si scende pedalando e ci si alterna a condurre, la discesa è meno tranquilla delle altre due: il declivio è molto più aspro ed i parecchi punti ci sono proprio dei dirupi, protetti da un parapetto di metallo. Con mia sorpresa in più punti la strada presenta dei falsipiani e dei tratti in contropendenza, per tenere alta la velocità bisogna spingere parecchio. Le gambe ora mi fanno male, l’acido lattico inizia a farsi sentire. L’impeto con cui affrontiamo la discesa è dovuto al fatto che l’ultima salita è corta perché l’innesto è a metà strada tra il fondo valle (Selva) e il passo. Sono poco più di 5 km. Quindi affrontare di slancio davanti l’attacco alla salita può essere determinante per la vittoria di passo Sella.

La velocità supera spesso i 60 km/h, all’ennesima curva decido che è meglio toccare i freni, perchè è cieca e non riesco a capire cosa mi aspetta dietro. Appena si apre la visuale ho un sobbalzo: davanti a me, a 50 metri, c’è un pullman che sta salendo fermo incastrato in un passaggio difficile con una Mercedes SLK che sta scendendo e dietro la macchina un centauro che ci ha appena sorpassato. Mi sorprende sempre come in queste situazione in un attimo ti passino per la testa mille pensieri, il primo è stato “C..o, non riesco a fermarmi!!” e poi “Sinistra burrone, in mezzo pullman, destra centauro con tubi di scarico bollenti e spigoli vari. Se devo sbattere è meglio il pullman almeno è piatto!!” Dirigo la bici verso il pullman tirando poderosamente entrambe le leve dei freni, sento la ruota posteriore slittare, mollo la leva posteriore per un attimo poi la tiro nuovamente, riesco così a controllare la bici e lascio che si intraversi. Vedo le facce stupite dell’autista del pullman e dei passeggeri. La mia corsa si ferma a pochissimi centimetri dal muso dell’automezzo. Da quando sono uscito dalla curva a quando mi sono fermato sono passati forse 2 secondi, ma è sembrata un’eternità. Il tempo di realizzare che mi sono fermato ed un altro pensiero mi colpisce, “e gli altri??!! mi piombano addosso...”; effettivamente dopo qualche millesimo di secondo Antonio mi passa sulla destra e si ferma miracolosamente incastrandosi tra il pullman ed il centauro, Michele finisce contro il centauro, ma riesce a stare in piedi; Paolo piomba su quelli davanti finisce contro la moto, la bici si ribalta e lui fa un salto mortale andando a sbattere con il casco e con la spalla destra contro il muro di contenimento in pietre a bordo della strada, Luigi si ferma.

Il volo di Paolo è stato molto brutto cerchiamo di capire se si è fatto male. Si rialza, barcolla. Ha la maglietta ed i pantaloncini strappati e sanguina. Si tiene la spalla. Dice che gli gira la testa. Si piega, prende fiato. Michele lo aiuta intanto, noi raccogliamo i pezzi sparsi: la bicicletta, le borracce, gli occhiali.

Il traffico nel frattempo si è sbloccato, c’è un bel via vai di macchine e noi siamo in una brutta posizione. Indichiamo a Paolo un piccolo spiazzo 50 metri più avanti.

Intanto Paolo si riprende e, dopo alcuni minuti, scherza e si fa fare anche qualche foto ricordo della botta.

Prima di ripartire passa un quarto d’ora. Quando saliamo in bici mi dimentico di far partire il cardio che avevo fermato dopo l’incidente. Impreco perchè so che per farlo partire dovrò fermarmi, ma non posso rinunciare a registrare l’ultima parte del giro. Così mi fermo nuovamente, guardando gli altri che si allontanano e sperando di riuscire a riprenderli.

Finalmente posso riprendere la discesa.

La salita al Passo Sella

Neanche mezzo chilometro e trovo lo stop dell’imbocco della salita del Sella, impreco nuovamente, se l’avessi saputo mi sarei fermato lì.

Luigi, ultimo del gruppetto, ha appena attraversato la strada. Passano delle macchine, devo aspettare... ancora!! Ma tutti adesso devono passare!! Incredibile, devo stare fermo quasi un minuto e mezzo prima di riuscire ad attraversare la carreggiata!!

Intanto gli altri chissà dove sono. So che questa salita è breve, ma incontreremo anche le pendenze più impegnative dell’intero giro. Moralmente sono stanco di soffrire, mi interessa solo che la salita finisca presto per poi buttarmi a capofitto nella discesa verso Canazei dove ci aspettano le macchine ed un bel pane e salame.

Dopo poco riaggancio Luigi. Vedo poco più avanti Paolo, probabilmente in difficoltà dopo la caduta. Lo raggiungo ed insieme andiamo a prendere Antonio. Michele si intravede in lontananza, di Attilio invece non c’è traccia. Immagino già la furia agonistica con cui sta pedalando.

Antonio sembra subito in difficoltà e perde la nostra ruota. Per la terza volta oggi io e Paolo ci troviamo a salire insieme. Questa volta però faccio fatica a mantenere il suo ritmo, potrei stringere i denti e tenere, ma non ne ho più voglia. Tengo qualche centinaio di metri, ma quell’andatura mi fa andare fuori soglia, inizio ad avere caldo perchè non ho ancora tolto la mantellina dopo la discesa del Gardena. E’ la scusa buona per dire a me stesso che sono autorizzato a fermarmi; così evito l’onta di perdere la ruota di Paolo. Trascorrono 30-40 secondi nel frattempo mi raggiunge e supera Antonio; con un piccolo scatto riguadagno la sua ruota così posso salire in compagnia. Paolo è avanti, non di molto, ma non ho nessuna voglia di pensare a riprenderlo. Mancano ancora 3 km al passo, mi sembra tantissimo. Qui la strada tira molto, l’andatura qualche volta scende sotto i 10 km/h.

I paesaggio ora è molto brullo e si può vedere la strada fino al vallico. Più su possiamo vedere che Michele ha superato e staccato Attilio. A due chilometri dalla vetta d’improvviso la distanza da Paolo cala a vista d’occhio, si è impiantato! In pochissimo, lo sfiliamo ad velocità molto superiore, gli chiediamo se sta bene, ci rassicura con un gesto della mano.

Allora proseguiamo. Antonio mi sprona ad andare a cercare di prendere Attilio che, secondo lui, è cotto. La strada spiana, Antonio è convinto di essere in vetta, ma secondo i miei calcoli manca ancora un chilometro. Infatti dopo una leggera curva la strada torna ad inerpicarsi e con una pendenza che fa male.

Sono convinto che Attilio sia ormai irraggiungibile, ma ascolto Antonio e provo a scattare. Male che vada avrò ridotto il tempo di agonia compiendo più velocemente l’ultimo brandello di salita che ci separa dalla fine delle fatiche odierne.

Come pensavo scollino per 3° a 40 secondi da Michele e 20 da Attilio, non male considerando le due soste.

Mentre aspettiamo gli altri discutiamo su come assegnare la vittoria finale del giro. Considerando i tempi indubbiamente ho vinto io grazie soprattutto ad i distacchi inflitti sul passo Gardena e sul passo Pordoi. A punti dipende da come si risolve la diatriba del traguardo del Campolongo: se la vittoria è di Michele c’è un ex-equo tra me e lui, se invece la vittoria è di Attilio allora ho vinto ancora io.

Dopo pochi minuti arrivano nell’ordine Antonio e Paolo.

Ormai si fa buio, per le nuvole che incombono. Attilio e Paolo scendono a valle. Io, Antonio e Michele aspettiamo Luigi, che stranamente non arriva, dopo quasi un quarto d’ora Michele gli va incontro preoccupato. Passano altri 10 minuti e li vediamo comparire insieme: Luigi poco dopo che l’avevo superato, ha bucato.

La Discesa verso Canazei

Ci buttiamo giù verso Canazei. La discesa non è facile: nella prima parte è molto ripida, l'asfalto è ruvido e verso valle c'è un bello strapiombo. Inoltre la lucidità non è più quella della mattina, bisogna stare attenti a non fare stupidate. Il paese sembra lontanissimo in fondo alla valle.
Ma dopo i primi chilometri l'aria fredda mi ha reso più pronto e decido che posso permettermi anche qualche sorpasso di auto troppo lente per i miei gusti. Ho fretta di arrivare alle macchine perchè ormai sembra abbia deciso di fare un bel temporale. Ci impiego comunque 20-25 minuti ad arrivare a Canazei. Tra Canazei e Campitello (3 km) mi raggiunge Michele, iniziano a cadere i primi goccioloni, ma è finita: siamo arrivati alle macchine.
Classifica finale della giornata:
  • 1° Roberto
  • 2° Michele
  • 3° Attilio
  • 4° Paolo
  • 5° Antonio
  • 6° Luigi
  • 7° Roberto (ritirato)

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